Le varianti al piano regolatore generale (PRG), rientrando nella sfera del governo del territorio, sono funzionali alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici. Per tale motivo, non sussiste alcun onere in capo alla amministrazione circa il rigetto delle osservazioni presentate dal privato proprietario di un’area incisa dalla variante, in assenza di situazioni eccezionali che impongono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali.

Fonte: Lavori Pubblici

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Già disponibili il 70% delle risorse pubbliche necessarie (l’83% medio per To-Lione, Brennero, Terzo Valico e Brescia-Verona)

Non sembra essere quello dei soldi il problema delle grandi opere in Italia, almeno di quelle di cui più si sta discutendo in questi mesi in relazione all’analisi costi-benefici in corso da parte del Ministero delle Infrastrutture. Per le sette principali grandi opere “sub iudicie” (Tav Torino-Lione tratta internazionale, Brennero, Terzo Valico, Tav Brescia-Verona e Verona-Padova, Pedemontana Veneta, Gronda di Genova), quasi tutte in corso di realizzazione, manca ormai solo il 30% del finanziamento, 6.373 milioni su 21.515 di finanziamento pubblico necessario, mentre il restante 70% (15,2 miliardi) è già disponibile. In tutto si tratta di opere che valgono 37,139 miliardi di euro, con altri finanziamenti privati disponibili per 1,3 miliardi e fondi dell’Unione europea o di Francia e Austria (disponibili o già concordati in trattati internazionali) per 14,3 miliardi.

Dunque, per completare o realizzare opere che valgono in Italia o sui valichi del Frejus e del Brennero, complessivamente, 37,139 miliardi di euro, i finanziamenti sono già acquisiti per 30,7 miliardi di euro, e il governo italiano deve ancora stanziare solo 6,373 miliardi. Risorse peraltro spalmate negli anni in termini di cassa, mediamente 6-7 anni.

La cifra, per quanto comunque rilevante, va confrontata con le risorse per investimenti pubblici disponibili nel bilancio statale: nel fondo investimenti comma 140, in corso di assegnazione con Dpcm Conte all’esame delle Camere, ci sono 35 miliardi di euro, di cui 8,8 miliardi assegnati per infrastrutture di trasporto. Nel Ddl di Bilancio c’è poi il nuovo fondo investimenti Amministrazioni centrali, con una dotazione di 50,2 miliardi in 15 anni (immediatamente impegnabili e anticipabili come cassa con murui Bei o CdP):mantenendo le proporzioni, alle infrastrutture di trasporto potrebbero andare circa 12-13 miliardi di euro.
Dunque, in tutto circa 21 miliardi di euro disponibili per le infrastrutture di trasporto
Per per le grandi opere servirebbero 6,4 per quelle soggette ad analisi costi-benefici (i tre valichi e la Tav Brescia-Verona-Padova), a cui andrebbero aggiunti i 3.139 mancanti per le ferrovie Napoli-Bari e Messina-Catania-Palermo, due grandi opere considerate anche da questo governo strategiche per il Sud. 
Ricapitolando: su 21 miliardi di nuovi fondi disponibili (in competenza) per infrastrutture di trasporto, ne servirebbero 8,1 miliardi per le grandi opere, e il resto – 13 miliardi – resterebbe per reti ferroviarie ordinarie e strade Anas (nuove opere e manutenzioni straordinarie).

Ma torniamo alle grandi opere soggette ad analisi costi-benefici. Valgono investimenti per 37,1 miliardi di euro (si veda la tabella, le opere in giallo esclusa la Pedemontana Lombarda, il cui completamento dipende dal – difficile – reperimento di investitori privati), e si tratta di lavori quasi tutti da realizzare, 32,6 miliardi su 37. Sono in fase avanzata la Pedemontana Veneta (50% circa), il Terzo Valico (30%) e il Brennero (30% circa), mentre è solo al 15% la Torino-Lione, e a zero sono le tratte Tav Brescia-Verona e Verona-Padova. Si tratta però di opere tutte con progetti approvati (salvo alcune tratte della Brescia-Padova), che dunque con poco sforzo finanziario aggiuntivo, 6,373 miliardi, dopo anni di preparazione potrebbero sbloccare cantieri per 37 miliardi di euro nei prossimi 7-8 anni. Gli stessi Brennero e Terzo Valico, già in corso, sono in fase di accelerazione in termini di spesa effettiva annua, stanno cioè arrivando agli anni di picco della loro spesa effettiva sui cantieri.

Proprio per Torino-Lione e Brennero, tenendo conto dei fondi europei (il 40% del totale) e della quota a carico di Francia e Austria, l’Italia ha ormai già stanziato in bilancio – negli anni scorsi – quasi tutto quello che le spettava: per la Torino-Lione2.564 milioni su 3.344 necessari (ne mancano dunque solo 780) e per il tunnel del Brennero 2.007 milioni su 2.508 necessari (ne mancano 500).
Per il Terzo Valico, su 6.158 milioni necessari sono già stanziati 5.366, ne mancano dunque soltanto 791.
Molto avanti sono anche i finanziamenti per la Tav Brescia-Verona, 2.875 milioni su 3.430 necessari (ne mancano 555), con il primo lotto da 1.892 milioni pronto a partire a un cenno del governo (il contratto è firmato ma Rfi ne ha congelato l’attuazione) e il secondo avviabile nel 2019.
La Verona-Padova sta più indietro: mancano 3.743 milioni su 5.261, ma il 1° lotto Verona-Bivio Vicenza da 983 milioni è approvato dal Cipe e pronto alla firma contrattuale con il general contractor Tav.
Pedemontana Veneta è al 50% dei lavori e interamente finanziata in project financing.

Pedemontana Lombarda è un caso a parte, non la consideriamo nelle statistiche perché realizzata per i primi due tratti (1,5 miliardi su 4,118) ma ferma da due anni in attesa di un piano finanziario sostenibile.

Fuori dall’analisi costi-benefici (non si sa perché) sono invece la Napoli-Bari e la Messina-Catania-Palermo.
La Napoli-Bari costa 5.136 milioni, è in fase di realizzazione nei primi due lotti da Napoli (come Sal complessivi siamo a non più del 5-10% del totale), ma ha acquisito nel corso del 2018 buona parte dei finanziamenti, siamo a 3.744 milioni, ne mancano solo 1.392. Anche questa è un opera che con poco sforzo finale può avviare cantieri consistenti per i prossimi 6-7 anni.

Anche la Gronda di Genova, 4,3 miliardi interamente finanziabilida Autostrade per l’Italia, è pronta al via, l’Ad di Aspi Giovanni Castellucci aveva già previsto i bandi di gara di lavori per fine 2018, ma anch’essa è congelata per l’analisi costi-benefici.

Fonte: Edilizia e Territorio

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Il titolare del Mit ha definito la lista delle strade di 5 regioni: Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. La Ragioneria frena: costi da chiarire.

L’Anas sta per ricevere in gestione oltre 3mila chilometri di rete viaria locale e regionale che si trovano in cinque diverse regioni: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana e Veneto. Si tratta della seconda tranche di rete che in tempi recenti ritorna all’Anas,dopo la lista dei circa 3.500 chilometri di strade già trasferite con il Dpcm 20 febbraio 2018(che ha ricevuto il 3 agosto 2017 l’ok preliminare della conferenza unificata e che il 28 aprile è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale). Ora, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli si è attivato per completare l’azione avviata dal suo predecessore Graziano Delrio che aveva individuato la prima lista di rete nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Toscana e Umbria. In quell’occasione, erano rimasti aperti i dossier di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, oltre – ancora una volta – alla regione Toscana, ma solo per alcune strade di confine con le regioni vicine. Nei giorni scorsi, la nuova lista, individuata dalla direzione generale per le Strade del ministero delle Infrastrutture, è stata trasmessa a Regioni e Comuni, per i necessari riscontri, al fine di ottenere l’intesa istituzionale e varare il decreto. 

Con la «riclassificazione» tornano all’Anas 3.008 km di rete
Lo schema di Dpcm (con le relative tabelle) era anche stato inserito nell’ordine del giorno della conferenza unificata che si è svolta l’8 novembre scorso. Ma l’intesa è stata rinviata per alcuni rilievi che sono arrivati dal ministero dell’Economia, e in particolare dalla Ragioneria dello Stato. I tecnici della Ragioneria hanno chiesta al Mit di precisare sia il quantitativo esatto della rete: sia quella da trasferire all’Anas sia, viceversa, quella da trasferire alle Regioni contestualmente alla riclassificazione. Per il momento il Mit ha stimato che si tratta di 3.008,6 km di rete, come saldo tra strade da acquisire e strade da cedere. 

Il Mit: risorse dal contratto di programma. La Ragioneria: va dimostrato
Ma il rilievo principale riguarda le risorse che l’Anas dovrebbe spendere per la presa in carico della gestione della nuova quota di rete. Prima di tutto, i tecnici della Ragioneria rilevano che manca la «stima degli oneri derivanti dall’incremento della rete di interesse nazionale e del conseguente incremento del corrispettivo dovuto all’Anas». Secondariamente mettono in discussione il meccanismo di copertura individuato dallo schema di Dpcm. Secondo il testo redatto dal Mit, «l’importo del corrispettivo previsto dal citato Contratto di Programma 2016-2020 verrà adeguato ai sensi dell’art. 6, commi 6 e 7 del contratto stesso, la cui definizione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti verrà operata sulla base della quantificazione dei costi incrementali sostenuti dalla Società concessionaria sulla base della contabilità analitica». 

I tecnici della Ragioneria obiettano che i commi citati si riferiscono ai sovracanoni versati dai concessionari autostradali «che risultino eccedenti rispetto al corrispettivo dovuto per la prestazione di servizi» regolata dal contratto di programma. Risorse che però, ricorda la Ragioneria, «vengono accantonate in un apposito fondo il cui utilizzo sarà regolato con un atto di aggiornamento del Contratto di programma. Va quindi dimostrato che le suddette entrate sono sufficienti a far fronte a maggiori oneri derivanti dall’incremento della rete stradale in gestione ad Anas. Diversamente, il provvedimento in esame determinerebbe oneri privi di copertura finanziaria». La Ragioneria chiede pertanto «una relazione del Mit che dimostri che ai maggiori oneri per l’Anas è possibile far fronte con le risorse disponibili a legislazione vigente». 

Per il momento, il Mit ha ribadito che «la quantificazione dei maggiori oneri connessi al rientro della rete stradale rientrante dalla Regioni nella competenza di Anas, non potrà che avvenire a consuntivo delle attività previste ed espletate e, che l’utilizzo del fondo di cui all’art. 6, comma 7 del Contratto di programma 2016-2020 avverrà successivamente all’approvazione da parte del Cipe dell’atto di aggiornamento del Contratto di programma medesimo».

Fonte: Edilizia e Territorio

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I costruttori: ‘occorrono misure di forte impatto che consentano, fin dai primi mesi del 2019, di trasformare le risorse in cantieri sul territorio’

Fonte: Edilportale

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Ai Comuni manca circa un miliardo, senza il quale molti enti avranno difficoltà a chiudere i bilanci. Chiediamo al Parlamento e al Governo di intervenire per non penalizzare ulteriormente un comparto che in dieci anni ha dato per il risanamento dei conti pubblici circa 14 miliardi di euro”.

Fonte: Lavori Pubblici

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“E adesso?” Cosa succederà nel settore delle costruzioni nel 2019? E’ un interrogativo al quale si cerca di dare risposta nel XXVI Rapporto CRESME analizzando i rischi di una nuova fase carica di incertezze sul piano nazionale, europeo e internazionale. 

Fonte: Lavori Pubblici

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Centrali di committenza e Centrale unica progettazione, ovvero due dei contenuti del disegno di legge di Bilancio per il 2019 che le Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato si apprestano ad esaminare in questi giorni e che negli ultimi giorni hanno scatenato un vigoroso dibattito tra gli operatori del settore.

Fonte: Lavori Pubblici

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Vanno adottati sistemi di gestione e controllo che non ingessino le aziende Il Ddl anticorruzione prevede un inasprimento delle misure interdittive

L’inasprimento delle misure interdittive per le aziende che abbiano tratto beneficio dai reati di corruzione prevista dal Ddl “spazzacorrotti” attualmente all’esame della Camera, riaccende i riflettori sulle misure che permettono alle imprese di tutelarsi attraverso l’adozione di disposizioni organizzative e protocolli aziendali di contrasto.
Il disegno di legge anticorruzione, fortemente voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, prevede l’innalzamento da uno a 5 anni della durata minima delle misure interdittive introdotte dal Dlgs 231/2001, tra le quali la revoca di autorizzazioni e licenze, l’interdizione dall’attività e il divieto di contrattare con la Pa. Si tratta delle sanzioni che una società potrebbe vedersi infliggere, in aggiunta a quelle pecuniarie, per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri amministratori, da dipendenti o altre persone che abbiano con essa un rapporto qualificato. Il Ddl ne innalza di ben cinque volte anche il tetto massimo, portandolo a dieci anni. Bisognerà ora vedere se queste modifiche supereranno l’esame del Parlamento (il provvedimento è ora in prima lettura alla Camera, dopodiché passerà al Senato).

Per arginare il fenomeno corruttivo, alla responsabilità penale del soggetto che ha materialmente compiuto un crimine, il Dlgs 231/2001, ha affiancato la cosiddetta “colpa di organizzazione” che sancisce, al verificarsi di uno dei gravi reati elencati nella norma stessa (il Catalogo 231), un severo regime sanzionatorio para-penale a carico degli enti, società ed associazioni che hanno colpevolmente “ospitato” i medesimi. Allora come tutelarsi , tenendo la società al riparo da sanzioni così afflittive e scongiurando, nel contempo, l’insorgere del danno reputazionale che frequentemente precede l’esito giudiziale della vicenda rendendo arduo il ricorso al credito? Una via percorribile c’è. Il “sistema 231” è inteso a prevenire la commissione di reati, stimolando l’adozione di misure organizzative atte ad impedirne il verificarsi.

La responsabilità amministrativa è esclusa se la società dimostra che:

  1. prima della commissione del fatto abbia adottato ed efficacemente attuato un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (il Modello deve essere descritto in un documento formale che illustri le disposizioni organizzative ed i protocolli introdotti al fine di prevenire i reati);
  2. il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello, nonché di proporne gli eventuali aggiornamenti, sia stato affidato ad un organismo interno dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo (l’organismo di vigilanza), ed esso abbia svolto una sufficiente azione di vigilanza;
  3. se il reato è stato commesso da un esponente di vertice della società, questi lo abbia fatto attraverso una elusione fraudolenta del Modello.

L’adozione del modello, se da un lato porta a migliorare la gestione dei processi aziendali, può dall’altro risultare onerosa in termini di realizzazione dell’analisi preliminare dei processi aziendali, di elaborazione o integrazione delle procedure interne, di predisposizione ed aggiornamento continuo, di effettuazione di monitoraggi periodici obbligatori sulla sua osservanza, nonché di costituzione e funzionamento dell’organismo di vigilanza. Il Modello inoltre, se mal disegnato, rischia di “ingessare” l’azienda, appesantendone le attività (soprattutto nelle piccole imprese per le quali snellezza operativa, bassi costi di gestione e rapidità decisionale sono fondamentali.

Come raccogliere, allora, l’opportunità prevista dal legislatore, avvantaggiandosene e non subendone il danno? Ecco le principali accortezze:

  1. analisi meticolosa dei processi e delle dinamiche produttive (conferendo priorità ai rischi concretamente rilevanti per l’azienda) per favorire la progettazione di procedure efficienti e praticabili che guidino anziché ostacolare il dinamismo produttivo;
  2. ricorso ad ausili standard di analisi del rischio e monitoraggio dell’attività;
  3. costituzione di organismi di vigilanza dimensionati in ragione della complessità aziendale (possono essere monocratici o anche composti dallo stesso organo dirigente nel caso di enti di piccole dimensioni).

Non molto utile risulterà, ad esempio, introdurre macchinose norme comportamentali per disciplinare eventuali rapporti con la Pa laddove l’azienda non ne abbia e non pianifichi di averne, prevedere duplici controlli ove i livelli gerarchici siano minimi. È necessario, cioè, ben disegnare e poi tagliare su misura l’abito per l’impresa, ben aderente e senza inutili sbuffi, come a volte si rischia di fare.

Fonte: il Sole 24 Ore

Di fronte alle minacce crescenti serve anche alle Pmi: tema al centro del convegno Anra

I rischi emergenti legati alla sostenibilità e alla digitalizzazione; la necessità di fronteggiare un ambiente con livelli di turbolenza e di complessità in continuo aumento tra ascesa del populismo in Occidente, lotte commerciali e nuovo protezionismo. Scenario che impone non più solo alle grandi aziende, ma anche alle Pmi di sviluppare modelli di risk management che siano in grado di valutare e aumentare la resilienza del proprio modello di business rispetto a questi fattori.

Sono alcuni dei temi che verranno affrontati nel corso del 19esimo convegno annuale dell’Anra (Associazione nazionale risk manager) dal titolo «Imprevisto o probabilità? La carta del risk management», in programma a Milano domani martedì 13 e mercoledì 14 novembre. Tra i rischi strategici più sentiti oggi dalle imprese, sottolinea Alessandro De Felice, presidente Anra, ci sono quelli legati «alla deglobalizzazione e alla paura di un nuovo protezionismo, insieme al crescente potere acquisito dalle fake news che possono agire da fattore destabilizzante sul mercato per le aziende coinvolte». Motivo per cui molte imprese «stanno valutando l’adeguatezza del proprio modello di business rispetto a una realtà circostante che si è fatta più mutevole che in passato». Nel corso dell’evento verrà poi dato spazio ai rischi emergenti. Tra questi, quello legato alla sostenibilità, dal rispetto dell’ambiente e dei diritti umani alla lotta alla corruzione. Temi diventati prioritari per le aziende che devono valutarne il potenziale impatto sul business anche in risposta a consumatori diventati più sensibili e che chiedono maggiore trasparenza su questo fronte. Per questo, «hanno assunto un’importanza crescente anche i bilanci di sostenibilità emessi dalle aziende quotate». Ossia un documento che queste ultime sono tenute a fornire sui temi di carattere non finanziario e sul loro possibile impatto sulla società, rivolto a tutti gli stakeholder o portatori di interesse: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, comunità e associazioni sul territorio.

Le imprese si trovano inoltre oggi ad aver a che fare con una digitalizzazione sempre più spinta e con tutti i rischi a essa connessi. «Ne parleremo non solo dal punto di vista del cyber risk, inteso come attacco malevolo da parte di hacker, ma anche nell’ottica di potenziali falle che potrebbero verificarsi in sistemi ormai totalmente automatizzati ». Un ulteriore tema che terrà banco riguarda inoltre la necessità di implementare modelli di risk management anche nelle Pmi. Questi ultimi rappresentano infatti un valore aggiunto anche per ottenere finanziamenti e sostenere dunque la crescita aziendale da parte, ad esempio, di fondi di private equity interessati a investire in questo segmento. «Ma che vogliono prima rendersi conto di come queste aziende stanno affrontando e pensano di gestire i loro rischi. Quindi valutare se un piano industriale è troppo sfidante per le possibilità dell’impresa». Scenario che sta portando l’attività di risk management a essere inquadrata
sempre più in un sistema di governance risk compliance, «cioè in un generale quadro di riferimento che le aziende si danno nell’agire in maniera chiara e trasparente verso tutti gli stakeholder ». L’obiettivo è garantire che l’azienda opera «secondo determinate regole gestionali in ottemperanza a leggi, normative e al codice etico e fornire una valutazione dei rischi che possono incidere sulla sostenibilità del business». Al centro del convegno ci sarà, infine, il cambiamento che sta interessando il ruolo del risk manager chiamato a una maggior integrazione con il board aziendale e allo sviluppo di soft skill comunicative per poter scambiare informazioni in modo efficace a tutti i livelli. Di pari passo con il farsi strada di metodologie innovative «che stanno emergendo in tema di gestione dei rischi ». Tra queste, «sistemi di misurazione della resilienza tramite l’analisi dei nodi processuali, l’anticipatory risk management per i rischi emergenti e nuovi approcci di risk engineering».

Fonte: Affari e Finanza

Aggiornata la scheda di compilazione relativa al piano dei finanziamenti 2019-2023 per gli interventi relativi a programmi straordinari di manutenzione della rete viaria di Province e Città Metropolitane.

Fonte: Edil Tecnico

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