La Regione Lombardia ha aggiornato la modulistica edilizia unificata e standardizzata. È stata, infatti, pubblicata sul B.U.R.L n. 47 del 19 novembre 2018 la D.G.R. 12 novembre 2018, n. XI/784 recante “Aggiornamento e sostituzione della modulistica edilizia unificata e standardizzata approvata con deliberazione n. 6894 del 17 luglio 2017, in attuazione di norme di settore comunitarie, nazionali e regionali”.

Fonte: Lavori Pubblici

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Con l’entrata in vigore delle nuove regole per gli appalti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) e la conseguente previsione di porre a base di gara il progetto esecutivo (salvo pochi casi in cui è ancora possibile utilizzare il c.d. appalto integrato), il mercato della progettazione ha avuto risultati molto positivi sia in termini di numero che di valore.

Fonte: Lavori Pubblici

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L’ANAC (Autorità Nazionale AntiCorruzione) ha pubblicato, il 19 novembre 2018 sul sito dell’Autorità stessa, alcuni chiarimenti al Bando tipo n. 3 relativo allo “Schema di disciplinare di gara per l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria di importo pari o superiore ad € 100.000 con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo” entrato in vigore il 26 agosto 2018.

Fonte: Lavori Pubblici

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Un documento Inail si sofferma sul sistema di primo soccorso in azienda. L’organizzazione del primo soccorso, gli obblighi e le indicazioni per la designazione, nomina e formazione degli addetti. Come fare una formazione efficace.

Fonte: Punto Sicuro

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Dal Ministero dell’Ambiente chiarimenti su miglioramento delle prestazioni del progetto e utilizzo dei materiali recuperati o riciclati.

Fonte: Edilportale

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La Cassa: anticipare i soldi ai creditori dello Stato
Comincia a delinearsi il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti come braccio armato per lo sviluppo secondo la visione del governo Lega-M5S. Il piano industriale in fase di elaborazione da parte del neo amministratore delegato, Fabrizio Palermo, 47 anni, che deve essere approvato dal consiglio di amministrazione a inizio dicembre, prevederebbe alcune funzioni di sostegno finanziario allo Stato, a cominciare dall’anticipazione dei pagamenti dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione nonché dei fondi strutturali nazionali ed europei.
Tra gli altri elementi del piano — anticipati ieri dall’agenzia Agi — rientrerebbe, secondo alcune bozze, la nascita di un «acceleratore per le infrastrutture», ovvero un’unità a sostegno della pubblica amministrazione per lo sviluppo dei piani infrastrutturali — acqua, trasporto pubblico locale, rifiuti — e di riqualificazione urbana delle grandi città, anche attraverso la preparazione e la gestione dei bandi di gara e la «valorizzazione delle opportunità offerte dai fondi Ue per la mobilizzazione di investimenti pubblici e privati».
Nei piani c’è anche la creazione di una sgr per finanziare le startup (misura anticipata nei giorni scorsi dal sottosegretario pentastellato alla presidenza del Consiglio, Stefano Buffagni, agli Stati Generali del credito a Milano), nonché la nascita di fondi di private equity per attrarre capitali privati. Il piano prevede inoltre la creazione di una cabina di regia pubblica per indirizzare gli investimenti e l’aumento delle risorse.
Si tratta della declinazione in senso industriale di quello che politicamente, secondo il «contratto di governo» tra Lega e Cinquestelle, deve essere il ruolo di Cdp come «banca pubblica degli investimenti», sia pure nell’ambito dei vincoli di statuto della Cassa — che non può essere banca in senso stretto per non rientrare nei vincoli patrimoniali propri degli istituti di credito — della protezione dei soci di minoranza, cioè le Fondazioni, che hanno il 16% circa, e soprattutto a tutela della ricchezza più grande della Cassa, che è il risparmio postale.
È un punto fermo su cui le Fondazioni non intendono cedere, come ha ribadito venerdì Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo e dell’Acri: «Noi vogliamo che la Cassa svolga la sua funzione, il suo ruolo nel rispetto dello statuto e senza andare in operazioni avventurose. Abbiamo detto no ad Alitalia perché lo statuto lo vieta: la Cdp non può entrare in aziende che sono in perdita e che possono avere un effetto negativo per la Cassa», come perdite o rischi futuri.

Le infrastrutture
Il sostegno agli enti locali per lo sviluppo delle reti idriche, trasporto e rifiuti

All’interno di questi paletti, la Cdp targata Palermo sta studiando le possibilità di potenziare l’intervento sul territorio e a favore della crescita. Per esempio, una delle ipotesi è che Cdp sostenga la pubblica amministrazione attraverso un «aumento degli strumenti finanziari» che comprenderà «lo sviluppo del servizio di tesoreria, l’anticipazione dei fondi strutturali e l’anticipazione del pagamento dei debiti della PA».
Si tratta di indicazioni dalle slide della bozza del piano industriale 2019-2023 di Cdp circolate ieri. L’ente presieduto da Massimo Tononi e controllato dal Tesoro prevede inoltre «un ampliamento dei servizi di supporto per la gestione dei fondi pubblici nazionali ed europei» e «l’individuazione di opportunità di ottimizzazione nella gestione dei bilanci degli enti» pubblici. Si punta infine su un «sostegno al processo di digitalizzazione dei pagamenti da e verso la Pubblica Amministrazione».
Cdp inoltre elaborerà piani di riqualificazione urbana per almeno sei grandi città (Genova, Torino, Venezia, Roma, Napoli e Palermo) da realizzare in collaborazione con la Pubblica Amministrazione. Prevista anche la riqualificazione degli immobili di proprietà della Cdp e il sostegno alla realizzazione di infrastrutture locali.

Le grandi città
Per Genova, Palermo, Torino, Napoli, Venezia, Roma previsti piani di riqualificazione urbana

Il piano dovrà inoltre chiarire il ruolo di Cdp nelle partite politicamente più calde come le privatizzazioni – si è parlato nei giorni scorsi del passaggio sotto Cdp di Leonardo, Enav e del 3,3% di Eni in mano al Tesoro – l’ipotesi dell’acquisto degli immobili di Stato e la possibile nascita di una società unica della rete in fibra ottica tra Tim (di cui Cdp ha il 5%) e Open Fiber, a metà tra Cassa Depositi e Enel.

Fonte: Corriere della Sera

La società pubblica non può delinquere. È questo il principio che sembra, ad una prima lettura, sotteso al Dlgs 231/2001, che, nel sancire che anche gli enti «possono delinquere» esclude lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni costituzionali. Eppure, di segno contrario appare la giurisprudenza penale, che ha aperto all’applicazione del decreto alle società pubbliche.

La materia del contendere avrebbe potuto cessare con il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Dlgs 175/2016). Ma dall’articolo 6 non si evincono coordinate di lettura. Argomenti sistematici si possono, tuttavia, trarre dalla riconduzione al diritto privato, compiuta dal Testo unico, della materia delle società pubbliche. Se queste ultime sono società come tutte le altre, tese allo scopo-mezzo dell’esercizio in comune di un’attività economica, e allo scopo-fine della realizzazione di utili, esonerarle dal decreto 231 comporterebbe ingiustificati sbilanciamenti, forieri di risultati irragionevoli. La ratio preventiva del decreto 231 vale per tutte le società, non potendo la natura pubblica comportare differenziati binari.

Quanto detto non muta nell’ottica dell’interesse pubblico. L’articolo 1, comma 2- bis della legge 190/ 2012 (la cosiddetta legge Severino) consacra, infatti, il connubio tra modello 231 e misure anticorruzione, definendo queste ultime integrative del primo.
Alla domanda sul se adottare il modello, seguono i quesiti sul come della sua applicazione. Le risposte non si rinvengono nel Testo unico, che, ai tipi societari che descrive, non fa corrispondere regimi normativi differenziati né, tanto meno, filtrate e calibrate applicazioni del modello 231. Eppure, sia dall’articolo 18 della legge 124/2015 (cosiddetta legge Madia), sia dalle determinazioni (n. 8 del 2015 e 1134 del 2017) dell’Anac sembra derivare il criterio della differenziazione della disciplina.

Già nella determina n. 8 del 2015, l’Authority ha, infatti, evidenziato come la distinzione tra società a controllo pubblico e altre società partecipate conformerebbe l’applicazione della normativa anticorruzione, in ragione del diverso grado di coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche all’interno dei due diversi tipi societari.
Per analoghe ragioni, i profili differenziali che connotano le società pubbliche dovrebbero indurre all’adeguamento del modello 231, non solo nell’ottica di selettivamente disapplicare le norme del decreto delegato, per ovviare ad ostacoli all’esercizio delle pubbliche funzioni, ma anche al fine di coordinare le misure 231 con i presidi 190, la cui contestuale applicazione potrebbe sortire effetti distorsivi. La diversa linea, o meglio l’assenza di linea del Testo unico rischiano di condurre a superfetazioni o disfunzioni di dubbia compatibilità con i canoni di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Come l’assoggettamento delle società in house all’azione della Procura contabile e a quella fallimentare, così il non regolato cumulo delle misure 190 e del modello 231 porta con sé, non solo un potenziale aggravio dei costi, ma anche la perniciosa paralisi di quella buona amministrazione che, proprio in forza dei controlli, si sarebbe voluta promuovere.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Di fronte ai pregi e ai difetti messi in luce dal D.Lgs. 81/2008 a dieci anni dalla sua emanazione, è necessaria qualche modifica. Cosa cambiare? Ne parliamo con il Prof. Paolo Pascucci, ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Urbino.

Fonte: Punto Sicuro

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Basta che non si «alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio tra i concorrenti»

Quando la gara è affidata con il criterio dell’offerta più vantaggiosa i concorrenti hanno sempre la possibilità di presentare offerte migliorative del progetto: basta che le soluzioni proposte non alterino il progetto sconfinando nell’ipotesi di una variante.

È quanto precisa il Consiglio di stato con la sentenza n.6423/2018, depositata il 14 novembre. Il caso nasce dal ricorso presentato da un impresa di costruzioni contro l’aggiudicazione a un’impresa che aveva incluso nell’offerta alcune proposte migliorative dei lavori messi a gara. Il ricorso era stato accolto dal Tar. Di qui la chiamata in causa del Consiglio di Stato che ha ribaltato la decisone dei giudici di primo grado, che hanno ribadito la differenza tra «variazioni migliorative» del progetto, sempre ammesse quando è in ballo un contratto da aggiudicare con l’offerta più vantaggiosa dalle vere e proprie varianti che invece devono essere autorizzate dalle stazioni appaltanti con esplicita indicazione nel bando di gara.

«Anche in mancanza dalla previa autorizzazione di varianti (prevista dall’art. 95 cit.) -si legge nella sentenza – , deve comunque ritenersi insita nella scelta del criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa la possibilità, per i partecipanti, di proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio tra i concorrenti».

Ma come si fa a distinguere le migliorie dalle varianti? I giudici provano a spiegarlo: «Le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’amministrazione; le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva previsione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un “aliud” rispetto a quella prefigurata dalla pubblica amministrazione».

Fonte: Edilizia e Territorio

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Il ministero dell’Ambiente ha aggiornato le indicazioni sui criteri ambientali minimi nel settore edilizia. In vista una revisione dei Cam

Il ministero dell’Ambiente ha aggiornato le Faq ai quesiti sulla corretta applicazione dei i criteri ambientali minimi nel settore edilizia che sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ormai più di un anno fa. L’ultima versione delle Faq è quella che porta la data del 15 novembre 2018, che aggiorna le precedenti risposte pubblicate a giugno. 

Impianti di riscaldamento e condizionamento 
Uno de quesiti riguarda gli impianti di riscaldamento e, segnalando in particolare che nel testo dei criteri ambientali minimi per l’edilizia si fa riferimento a due decisioni Ecolabel non più in vigore. Nel quesito si chiede pertanto «come ci si deve comportare rispetto alla verifica del criterio che richiede che “Il progettista deve prescrivere che in fase di approvvigionamento l’appaltatore dovrà accertarsi della rispondenza al criterio utilizzando prodotti recanti il marchio Ecolabel UE o equivalente”». 
«I criteri ecologici stabiliti dalle due decisioni 742 del 2007 e 314 del 2014 citate al comma 2.4.2.13 Impianti di riscaldamento e condizionamento del Decreto 11 ottobre 2017, non più in vigore rispettivamente dal 31 dicembre 2016 e dal 28 maggio 2018 – risponde il ministero dell’Ambiente – vengono attualmente superati e sostituiti dai requisiti minimi previsti dai regolamenti di eco progettazione ed etichettatura energetica vigenti per le pompe di calore e gli altri sistemi di riscaldamento che sono quindi, ai fini della verifica della rispondenza al requisito, l’unico riferimento normativo valido». Nell’ultima parte della risposta il ministero lascia pensare che sia alle viste un restyling degli stessi Ca, quando dice che «Nell’ambito della prossima revisione del testo dei Cam sarà predisposta una modifica di tale criterio».

Sostanze pericolose
Aggiornamenti operativi anche in tema di sostanze pericolose, dove il ministero dell’ambiente pubblica due chiarimenti in risposta ad altrettanti quesiti. 

Nel prima domanda «si chiede se al punto 3, “Sostanze o miscele classificate o classificabili con le seguenti indicazioni di pericolo”, si intenda escludere le singole sostanze a prescindere dalla concentrazione nella miscela oppure se ci si riferisca alla sostanze solo se in concentrazione superiore a quanto previsto dal Clp per la classificazione delle miscele».
«No – rispondono i tecnici dell’Ambiente – non si intende escludere le singole sostanze. In questo contesto per “Sostanze” si intende riferirsi alle sostanze che siano presenti in concentrazione tale da comportare la classificazione di una miscela ai sensi del Reg. (Ce) n.1272/2008 (Clp) e s.m.i. secondo una delle indicazioni di pericolo elencate di seguito nel criterio».
Nel secondo quesito si se segnala che nel Cam edilizia si specifica che «nei componenti, parti o materiali usati non devono essere presenti sostanze e miscele classificate ai sensi del Regolamento (Ce) n.1272/2008 (Clp)». E si chiede come mai le successive «frasi di rischio» riportate nei Cam edilizia «non sono tutte quelle pericolose previste dal regolamento». A questa domanda il ministero risponde che «è stata fatta una scelta tra tutte le frasi di rischio riportando solo quelle ritenute più critiche ai fini del documento Cam».

Decaduti i Cam per i serramenti
Infine, il ministero dell’Ambiente, precisa che «i Cam serramenti non sono più in vigore essendo stati sostituiti dai Cam edilizia fin dalla edizione del gennaio 2017 (vedi decreto 11 gennaio 2017 “Adozione dei criteri ambientali minimi per gli arredi per interni, per l’edilizia e per i prodotti tessili”)».

Fonte: Edilizia e Territorio

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