Uno tsunami di denunce contro i datori di lavoro si sono già abbattute sugli imprenditori Italiani. Un’onda anomala, pronta a sommergere gli uffici giudiziari che aggraveranno inevitabilmente i già biblici tempi della giustizia. Dopo la pubblicazione della circolare n. 13 del 3 aprile 2020, con cui l’INAIL dichiarava che le malattie infettive e parassitarie sono da inquadrare nella categoria degli infortuni sul lavoro, includendo quindi i casi di infezione da coronavirus, le principali associazioni datoriali hanno invocato a gran voce una rettifica sulla relazione diretta tra contagio e responsabilità del datore. Una specifica circolare che rendesse la materia meno perniciosa. L’INAIL emana così la circolare n.22 del 20 maggio 2020: la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dai protocolli e nel mancato rispetto delle linee guida governativi e regionali.
Il messaggio che arriva dall’INAIL e Governo è chiaro: l’unica strada da percorrere per mettersi al riparo da guai giudiziari è dimostrare di aver messo in campo tutte le procedure previste dalla legge in tema di tutela dei lavoratori e di terzi. Dimostrarlo non sarà facile, se l’imprenditore non si avvale di sistemi e protocolli, che gli consentono di dotarsi di un’attestazione prodotta da un ente professionale certificato e che garantisca la prova di aver messo in campo tutte le strategie utili alla sicurezza dei propri lavoratori, mettendosi al riparo da contenziosi civili e penali.
D’altro canto, se per alcuni tipi di infortunio è piuttosto semplice dimostrare l’accadimento sul luogo di lavoro o in itinere, quando si parla di virus ci si trova a combattere con un nemico invisibile, difficilmente dimostrabile.
E anche qualora il dipendente fosse in grado di provare di aver contratto il virus in occasione di lavoro, all’INAIL il compito di erogare l’indennizzo. Resta aperta la questione della responsabilità penale del datore di lavoro.
Il punto sensibile sta nella precisazione della circolare n. 22 in cui si specifica che, in ogni caso, il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto (in favore dell’infortunato) può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale contro il datore, solo nell’ipotesi in cui sia dimostrata una effettiva responsabilità di quest’ultimo. In questo caso l’INAIL avrebbe titolo per pretendere il rimborso di quanto erogato al lavoratore infortunato.
Altro motivo di allarmante preoccupazione per chi in questo periodo si trova a dover gestire una ripresa aziendale a seguito di un’emergenza globale senza precedenti, il dipendente potrebbe agire per ottenere un ulteriore risarcimento del danno (da sommare all’indennizzo INAIL) nei confronti del proprio datore di lavoro.
Dimostrare di avere attuato quanto possibile per scongiurare l’infortunio resta l’unica arma di difesa per datori e imprenditori. Una recente sentenza della Suprema Corte (n. 3282/2020) ha affermato che il datore di lavoro non risponde per responsabilità oggettiva ma solo per “difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore”.
La circolare n. 22 precisa inoltre che l’imprenditore non è tenuto ad assicurare “il rischio zero”, pertanto il difetto di diligenza del datore di lavoro deve ritenersi senz’altro esclusa quando egli abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione ed informazione del personale, assicurando una sorveglianza sanitaria speciale nei confronti dei lavoratori di età a rischio o con patologie sensibili, ecc. poste con i noti Protocolli condivisi in tema di sicurezza Covid-19.
Le denunce di contagio sul lavoro, che tra fine febbraio e il 15 maggio sono state per la precisione 43.399, rappresentano quindi ancora una minaccia per tutti quei datori che non abbiano ancora provveduto a seguire le indicazioni delle autorità italiane.
È necessario, per chi non lo avesse già fatto, dotarsi di strumenti attuativi e programmatici delle proprie attività lavorative, come sistemi e protocolli professionalmente garantiti da professionisti del settore, che consentano di attestare che l’imprenditore ha messo in campo tutte le strategie di tutela in favore dei propri lavoratori e di terzi.
“Non c’è tempo da perdere, troppo è stato già lasciato nel percorso di liberazione dal patogeno, molto c’è ancora da fare. Per quanto possibile, dobbiamo armarci contro l’ignoto. È il momento di aggiustare, ancora una volta, le vele per riprendere a navigare col vento in favore, ora e adesso.”
Fabrizio Capaccioli
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